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      - Una voce segreta lo ammoniva: patria non poter essere un uomo, sibbene un paese, una terra, una comunità di uomini, nè dovere in qualunque caso un cittadino muovere le armi contro la patria che lo ha cacciato fuori dal suo seno. - Imperciocchè o egli ne fu bandito a ragione, ed allora ha da sopportare con animo pacato il suo danno e meritarsi di venire un giorno perdonato; - o l'offesero a torto, e allora soffra, sia grande e sappia, perduta la patria, la cosa a desiderarsi maggiore essere la coscienza pura; meglio vale sventura con innocenza che fortuna con delitto. Avrà il cielo per l'uomo a torto infelice conforti divini; dappertutto vedrà, come se fosse centro del firmamento, curvarglisi intorno l'emisfero, scintillare le stelle, - dappertutto la madre terra appresterà alle sue ossa travagliate pace. Quindi pensava, un cittadino rientrato a forza in patria, non potervi più vivere se non che da tiranno, - il suo cammino procedere sul capo dei suoi fratelli. I Medici, ora sì umili, vedeva inferocire all'improvviso a modo di serpe esposto al sole, - gli odiava in quei momenti, - non sapeva risolversi a raggiungere il campo; gli occhi bramosi lanciava intorno di sè aspettando un santo eremita che venisse a consigliarlo; - intanto si trovava prossimo al campo, - l'esempio dei molti fuorusciti mescolati nell'esercito imperiale tra i quali si distinguevano Caroccio Strozzi, Bettino Cavalcanti, Sandro Catanzi, Giammoro da Dicomano, il Rosa da Vicchio, il Morna e il Pignatta amicissimi suoi, - e la costumanza antica tornava a vincerlo, - una forza fatale lo avviluppava di nuovo nella sua vertigine; la patria migliore del mondo tornava a sembrargli la groppa di un destriero che corre.


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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano
1869 pagine 1163

   





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