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      Che importa poi che la sua memoria vada dispersa con le sue pagine? Nè a me nè ad altrui dorrà di certo che caschi nell'obblio; di lieto cuore invoco che la scintilla rimanga perduta nelle vampe, a patto però che desti lo incendio.
      Questi libri battaglie, queste scritture agonie non ponno e non vogliono essere compresi che dalla gente oppressa da lunga, immane e abborrita tirannide, e che ha fermo di strozzare anche quando dovesse morire un'ora dopo.
      Imperciocchè due cose non possono contemplarsi senza pianto come senza ira nel cielo o sopra la terra: - la morte di un Dio e la morte di un popolo.
      Ma Dio dopo tre giorni risorse; - a quando la resurrezione del popolo?
      Se le giornate della servitù si compongono di cento anni, - tre secoli già sono scorsi dacchè il mio popolo cadde...
      Si approssima l'ora? - non so, ma gli armati vigilanti alla custodia del sepolcro tremano; non gli assicura la pietra che vi posero sopra...
      Intanto io piango la morte di un popolo, perchè un altro ne rinasca.
      Però alla mia mente per ora si affacciano solo sinistre fantasie, perchè il mio cuore è inebbriato delle ultime lacrime piante da una nazione caduta, perchè il sibilo delle ossa de' suoi grandi travolte dalla bufera forma il suono che accompagna la mia storia.
      Tristo o beffardo, il mio grido move dallo spasimo di piaga insanabile.
      Via, lasciatemi lamentare in pace sopra la terra de' miei padri, - poi mi coprirete con le ceneri delle sue desolate città.
      Perchè, quando il poeta stenderà la destra al salice per istaccarne l'arpa e cantare l'inno della risurrezione, possa con la manca raccogliere i fiori che la natura avrà fatto germogliare sopra la mia fossa e comporsene una corona.


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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano
1869 pagine 1163

   





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