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      Due fini pertanto ebbe in mira il Ferruccio: procacciarsi pecunia per assoldare soldati, e averli bravi e fedeli. Però impiccava l'Incontri, il quale avendo ricevuto danaro dal Ferruccio per soldare gente, vista la città sua tôrsi alla ubbidienza della Repubblica, truffò le paghe, gettandosi dalla parte nemica: questa colpa meritava, giusta la legge del tempo, la forca, ed era dovere; il Ferruccio poi, versandosi in pericoli tanto supremi, dovendo tenere osservanti tante maniere di gente di ogni risma, ed anco per la sua natura austera, avrebbe fatto errore a rimettere il castigo. Impiccò l'altro Volterrano perchè colto su l'atto della fuga, da lui massimamente abborrita, come quella che, oltre a dare indizio di animo avverso, gli toglieva il modo di procacciare danari. I ricordi dei tempi testimoniano come il Ferruccio non potesse apprendere cosa che tanto lo mettesse in furore quanto questa di sottrarsi con la fuga a partecipare, mercè poca moneta, alla salute della patria; così vero che il conte Gherardo da Castagneto soldato devoto alla repubblica, avendo chiesto licenza di menare seco fuori delle mura Flaminio Minucci suo cugino, il Ferruccio gliela concesse a ritroso, non senza molto ammonirlo che badasse a non lasciarselo scappare; e poichè avvenne appunto come Francesco dubitava, quando il conte gli si parò dinanzi tutto avvilito, egli, postergato ogni riguardo alla potenza ed ai meriti del personaggio, tratta la spada voleva ammazzarlo ad ogni modo; e lo faceva se non lo avesse ritenuto il signore Amico d'Arsoli ed altri capitani di vaglia, che con molta fatica lo raumiliarono.


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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano
1869 pagine 1163

   





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