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      Come ognuno pensa, ciò non avviene senza capi rotti, nasi pesti, occhi contusi e qualche volta costole fracassate; molto più che l'onorevole accademico Puro Alterato ci fa sapere come caschi nel gioco certa rifioritura a crescergli leggiadria giovevole il prendere, quando capita il destro, a traverso la vita l'avversario e sbattacchiarlo supino a stampare la sua persona sopra l'arena, o attraversatogli il passo con la gamba insidiosa mandarlo a rompersi i denti contro la terra: gioconde venustà, piccolezze urbane che mettono proprio addosso la voglia non solo di vederle, ma di pure provarle. Due passate laterali della palla, o falli, formano una caccia a danno di chi li commetta; una palla passata oltre lo steccato opposto fa una caccia, due, due cacce; allora suonano trombe e tamburi, e i giuocatori mutano di luogo.
      I Fiorentini non vollero intermettere la usanza antica di giuocare il calcio nell'anno dell'assedio, e all'amore del patrio costume si aggiunse il desiderio di recare onta al nemico. Fecero pertanto sulla piazza di Santa Croce una partita a livrea, venticinque bianchi e venticinque verdi; premio della vittoria una vitella; e per essere non solamente sentiti, ma veduti dal nemico, misero i sonatori sul comignolo del tetto di Santa Croce, dove fu loro tratta da Giramonte una cannonata, che passò alta e non offese persona.
      Tra i giuocatori erano Dante da Castiglione dalla parte dei verdi Sconciatori presso il muro, e il Morticino degli Antinori dalla parte dei bianchi Innanzi nella quadriglia di mezzo.


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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano
1869 pagine 1163

   





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