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      I giovani per lo contrario s'infastidirono presto di simili fatiche, e considerarono che se una città senza ripari è debole, molto più debole è poi quando ha ripari, e non cittadini animosi a difenderli. Sparta difesero per molto tempo gloriosamente i petti di cittadini, non già muraglie di sassi: - le iattanze nemiche gli offendevano, - statuirono far prova di sè, anelarono i campi aperti, il sole delle battaglie.
      Malatesta, assottigliandosi a trovare suoi espedienti, ora gli armava e rassegnava, prometteva condurli contro al nemico, e quando gli aveva fatti rimanere otto o nove ore in procinto di muovere, gli rimandava sotto vari pretesti; quando non poteva fare altrimenti, ingaggiava scaramucce parziali, o, come allora dicevano, badalucchi senz'altro fine che quello di scemarli con le morti e con le ferite. Però il tristo Perugino sortì esito diverso affatto da quello che si era dato a sperare: i giovani si sbigottivano meno delle perdite che non s'infiammavano pei vantaggi, accorgendosi le spade loro tagliare quanto quelle dei nemici; videro che, per essere soldati, bastava l'animo disposto a vincere o morire, - spesso cedevano alla disciplina del nemico, più spesso il nemico cedeva all'impeto di loro. Ebbe fama nei tempi un fatto di arme tra cavalieri, nel quale si portò tanto egregiamente dalla parte dei nostri Iacopo Bichi che, il principe di Orange dovè accorrere con tutti suoi capitani a rinforzare la battaglia se non voleva vedere quanti erano i suoi cavalieri disfatti.


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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano
1869 pagine 1163

   





Perugino Iacopo Bichi Orange