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      Anguilotto, come colui che ardimentoso era molto, non si rimaneva mai dall'uscir fuori qualunque volta gliene capitasse il destro, quasi per isfidare i nemici. Ora avvenne che, tenendogli le spie addosso (o come pare più verosimile, da segreti avvisi del Malatesta), furono avvertiti sarebbe Anguilotto uscito da porta alla Croce con poca compagnia per iscortare certi contadini che andavano per legna; gli tesero insidie, e trascorso ch'ebbe appena la imboscata, che avevano posto grossissima, gli si precipitarono contro i principi Orange e Salerno, il duca di Melfi ed altri dei principali con più di duemila fanti, don Ferrante Gonzaga con cinquecento cavalieri, e lo posero in mezzo. Tanto potè in costoro una brutta ira che non vergognarono andare con mezzo esercito a combattere un uomo! Anguillotto, vista la piena, si tenne morto, ma non per questo s'invilì nell'animo o si abbassò ad atto che paresse codardo; anzi, deliberato in tutto di morire da prode uomo com'era vissuto, si accostò ad un albero e quivi prese a menare le mani; lo investirono primi il conte Piermaria con sei cavalleggeri, e a quello che più lo stringeva dappresso vibrò sì gran colpo che lo trafisse da un lato all'altro: sovvenuto da Cecco da Buti, suo luogotenente, continuarono a combattere finchè durarono loro le armi ed il vigore di sostenerle. Anguillotto, poichè ebbe tagliata la punta del partigianone, trasse la spada e, pur sempre ferocemente menando, tanti ne uccise che si era innalzato come un riparo di cadaveri davanti: ma la spada ecco gli è diventata troncone, il taglio ottuso, e per parecchie ferite gronda sangue, sicchè opprimerlo adesso riusciva agevole, e non pertanto sbigottiti dalla stupenda strage gli assalitori nicchiavano.


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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano
1869 pagine 1163

   





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