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      Bellanton Corso correva a soccorrerlo; - Giovanni da Vinci, il quale era a guardia di porta alla Croce, non patendo la morte di quel generoso, dimenticando l'ufficio di capitano, lascia la guardia e con certi fanti si muove ratto alla riscossa; - Iacopo Bichi apprestati i cavalli sprona in ajuto di lui; invano però; in quel punto Anguilotto percosso di una zagagliata nel petto casca a terra senza riportarne altro danno tanto lo difese il fortissimo giaco! Allora il conte di San Secondo si getta giù di sella e, sovvenuto da un suo servitore, lo scanna prima che ei si potesse rimettere in piedi. Cecco da Buti, visto morto il suo capitano, getta l'arme e chiede i quartieri. "Questi sono i miei quartieri," risponde il conte, e gli tira a tradimento tale una stoccata nel petto che andò a riuscirgli dietro le spalle: poi tutti salirono a cavallo e fuggirono via. La coscenza dava loro il sembiante di ladroni. Italiani sperperavano soldati italiani in pro della tirannide straniera e in danno della libertà della patria.
      Il popolo, racconta Benedetto Varchi nell'undicesimo libro delle sue Storie, ormai infastidiva per la lunghezza dell'assedio, e i più prudenti conoscevano quanto più s'indugiava, e più si peggiorava: "perciocchè con altro vantaggio si fanno le cose quando altri può non le fare che quando uno è costretto a farle; e tale ajuta uno che si regge in piè, che, veduto sdrucciolare, non solo non lo sostiene, ma gli dà la pinta." Mormoravano dunque in Firenze, ed una voce universale accusava Malatesta di non voler combattere; ond'egli costretto, datone prima l'annunzio agli avversari, uscì fuora "e disse, aggiunge il citato storico, che per contentare il popolo, ma in fatto per isbigottirlo e aver colorata ragione di non combattere, che voleva uscir fuora, ma che bisognava prima tentare come trovasse i nemici per poter poi con maggiore vantaggio assaltarli.


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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano
1869 pagine 1163

   





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