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      Un giorno, mentre più acuto costringeva il pensiero alla meditazione, gli si turbò il cervello; come arco troppo teso si rompe, e il dardo pronto a volare nel brocco cade senza forza od obliquo, così la sua immaginazione giacque spossata; sente lo sfinimento del naufrago sopraffatto dalle onde burrascose, gli si abbuia l'intelletto; la febbre, la quale dopo le ferite tocche a Volterra quando più quando meno non gli aveva mai dato tregua, gli riarde il sangue e gli ricorda essere la sua anima legata pur sempre all'inviluppo di carne.
      Lo tormentò un lungo delirio, ma anche nel disordine delle facoltà intellettuali splendè luminoso a guisa di stella che tolta all'armonia dei cieli si avvolga nella sua vagante carriera non meno lucida di prima. Furono le sue visioni di patria, di battaglie, di gloria, qualche volta di sconforto, ma rade e passeggiere, quasi tenue nuvola presto portata dall'ale dei venti traverso il disco della luna.
      Risensato appena, solleva il fianco ed esclama:
      Abbiamo combattuto? Abbiamo vinto? - Ah! il morbo mi tiene giacente nel letto. - Porgetemi l'arme; io non ho tempo di trattenermi ammalato, non voglio essere infermo... anche un mese di salute, fortuna, poi a cui la vuole gli dono la vita...
      A queste aggiunse altre parole, nè i circostanti riuscirono a fargli deporre quel suo proponimento, se il medico discreto non lo ammoniva che in cotesto modo agitandosi prolungava la sua infermità con danno inestimabile della patria.
      Vico
      , disse un giorno al Macchiavelli, "chiamami i miei capitani, la vista di questi prodi uomini mi conforterà l'anima.


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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano
1869 pagine 1163

   





Volterra Macchiavelli