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      No, figliuolo mio, no, pel cammino che mi avanza a fare le mie gambe basteranno.
      E senz'altro indugio il Ferruccio si pose in via, lasciata Pisa il 1 agosto 1530 e movendo per la Valdinievole: chiesta e non ottenuta dai Pesciatini la vettovaglia, fatto mostra di prendere la via maestra e piana, prevalendosi dell'oscurità della notte, tralascia l'agevole sentiero e si getta tra i monti che gli sorgono a mano dritta nelle vicinanze di Collodi. Diventando la notte più nera, ed essendo ormai pervenuto a Medicina, castello del contado lucchese, gli parve di qui rimanersi, tanto più che in questo luogo aveva dato ritrovo a certi capi di parte cancelliera, per propria prestanza e più per le molte parentele ed amicizie a sostenere le cose della Repubblica pericolante adattissimi.
      Disposti gli alloggiamenti, invigilato a che ognuno fosse provveduto del bisognevole, non potendo ormai più vincere la impazienza dello attendere, si cacciò fuori solo dal castello speculando se gli aspettati giungessero.
      Nè stette guari che, udendo rumore, mosse il grido consueto del conoscimento; a cui venendo data la convenuta risposta, ravvisò gli amici e con gran cuore li condusse nella sua stanza.
      Ridotti così a segreto colloquio, il Ferruccio mostrava loro la commissione dei Dieci, i quali gli ordinavano valersi dell'opera e del consiglio di Baldassare Melocchi detto il Bravotto, del capitano Guidotto Pazzaglia e del capitano Domenico Belli, chè tale era il nome dei chiamati: diceva intendimento della Repubblica essere ch'egli prendesse la strada per Calamecca, Monte Berzano e Prunetta e quinci gittarsi nella valle di ponente, tra la Panche e Pontepetri, donde risalendo i Lagoni, indirizzarsi alla Badia Toana e scendere poi, come meglio gliene venisse il taglio, per Montale o per la contea del Vernio: ma la seconda, potendo, alla prima strada anteponesse, imperciocchè i conti Bardi di Vernio si erano profferti in simil caso di fare quanto spettava a cittadini amorevoli della Repubblica; finalmente a loro con tutte le viscere si raccomandava, nelle braccia loro si riponeva, dipendere da essi la salute di Firenze o la sua distruzione, e con l'abbattimento di Firenze la morte vera di qualsivoglia libertà in Italia.


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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano
1869 pagine 1163

   





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