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      Malatesta se ne sta seduto in fondo della stanza sopra un lettuccio, attrappito nelle membra, con occhi viperini, di sembianze più gialle, più triste del solito, che in quel giorno un fiero dolore nelle ossa aggiungeva infinita malignità alla naturale scelleratezza della sua indole. All'apparire improvviso che fecero i commissari, un tremito gl'invase la persona, però che ebbe a prorompere in un acerbissimo ahi! - ma subito dopo, vedendo come nessuno gli seguitasse, si assicurò, cupo aspettando e silenzioso che profferissero parola.
      Andreuolo Niccolini gli si accosta con atti ossequiosi, e la favella componendo al suono più dolce che per lui si potesse,
      Magnifico signore Malatesta Baglioni
      , incomincia cavandosi dal seno la carta della licenza e presentandogliela con bel garbo, "gli eccelsi Signori, i venerabili Collegi, il consiglio degli Ottanta e Pratica, considerando gli alti meriti vostri e il valore e la fede con la quale avete saputo difendere fin qui la nostra patria da due potentissimi eserciti, con acerbità inestimabile di animo si piegano a darvi quella che con tanta istanza domandate vostra licenza; - però i meriti vostri appunto e le infermità che vi affliggono, li consigliano ad essere discreti e non volere..."
      A questa parte del discorso di messere Andreuolo, Malatesta, gittato l'argine della bestiale sua ira, strappa fremendo dalle mani di lui la licenza, la mette in brani e poi urla con ingegno plebeo:
      Figli di malvage femmine! - La licenza a me? Mi avete voi tolto per un corpo fradicio da mandarsi alla Sardigna(344)? - Io vi so dire che vivo e penso e opero, e ve ne accorgerete ben voi.


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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano
1869 pagine 1163

   





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