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      E tra la sventura e la colpa nč io nč voi, Antonio, possiamo rimanerci un momento dubbiosi. - Lasciate che noi muoiamo; - egli č bene che il primo gradino del trono sia bagnato di sangue, - pių facilmente vi sdrucciolerā il piede del tiranno. - Forse vi fa vergogna il patibolo? E credete voi che se io ci vedessi l'onta della mia famiglia, giā non mi sarei fatto cadavere? - Nessuno č signore della morte dell'uomo. No, Antonio, qualunque scala, - anche quella del patibolo, č buona quando mena alla gloria. - La mia morte č sfregio sul volto al tiranno. - Forse chi sa che non sia questa una insidia? - Quale angoscia sarebbe la mia, quale il tuo pentimento, se prima di trucidarmi giungessero ad avvilirmi? Lasciami morire onorato. Socrate non volle fuggire, e fu divino tra gli uomini...
      Il fragore delle ferrate percosse si fa pių vicino, - la porta della carcere si apre, ed una voce in suono di preghiera favella:
      Uscite, messere,... affrettatevi..., o siamo tutti morti...
      Va' dunque, Antonio, di' a mogliema che prenda buona cura dei figli e, se l'č dato, gli meni in terra meno sinistra al suo sangue...
      Venite, aggiunge la voce, - me perdete, e voi non salvate...
      Va'
      , soggiunse il Carduccio, e sorreggendosi al braccio dell'Alberti lo accompagna; "va' e porta teco questo mio estremo consiglio: provvedi a te e alla tua famiglia; - rimuovi la mente dai pubblici negozj, dove sovente raccogli ingratitudine e odio, - qualche volta la morte, - atroci cure sempre; educa i figli nel timore delle leggi, accresci il censo domestico, vivi ignorato - e muori tranquillo; - cosė non maledirai nč benedirai i tuoi simili.


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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano
1869 pagine 1163

   





Antonio Antonio Antonio Carduccio Alberti