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      Così Roma, nel concetto dei Preti diventò, quasi Tebe dalle cento porte, o piuttosto una casa aperta a tutti i venti; le chiavi essi impugnano, non mica per chiudere, bensì sempre per tenerne spalancato lo ingresso; e perchè accogliemmo il Prete e lo nudrimmo, eccoci fatti una cosa nullius; siamo preda del primo occupante: noi respinti dal dominio di casa nostra, mentre in casa nostra hanno potestà gente remotissime e selvaggie, le quali forse nè manco sanno Italia che sia, nè dove giaccia Roma.
      Anco a noi sia lecito cavare una conseguenza dalla dottrina, che il Papato professa, la quale è questa: poichè per diventare padroni in casa nostra bisogna che il dominio sacerdotale cessi, e poichè il prete intendo esserne il portinalo per aprirne l'uscio a quanti presumono entrarci - sgombri dalle nostre dimore. Noi non ravvisiamo il vicario di Dio che letifica i suoi figliuoli con la libertà in colui, che ci vorrebbe sottoposti a perpetuo ed universale servaggio. E se vuol fare il portinalo vada in paradiso a dare la muta a san Pietro, che a quest'ora deve essere stracco.
      Noi abbiamo bisogno di Roma però che colà si annidino tre voleri pari, e tre poteri dispari ad impedire con tutti i nervi, che la Italia si compia. Instituti barbari furono gli asili, i quali provocavano un dì più delitti, che non ne reprimessero lo pene un'anno; e tutta via sopportavansi; tanto è disagevole sradicare dalla società un'ordine di cose, il quale nei tempi ebbe pure argomento di vita, quantunque adesso siasi trasmutato in argomento di morte.


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Lo assedio di Roma
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Zecchini Livorno
1864 pagine 838

   





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