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      E l'arduo Byron, il re dei poeti dell'anima, allo aspetto di Roma mandava fuori questi nobili concetti: "O Roma! O Patria mia! O città dell'anima! Gli orfani del cuore devono volgersi a te madre solitaria d'imperi estinti! Essi impareranno da te a comprimersi in petto i loro affanni meschini. Che sono di faccia ai tuoi i nostri patimenti, e i nostri dolori? Venite a vedere i cipressi, a udire i cuculi, ad aprirvi una viottola su gli sfasciumi dei troni, e dei tempii voi di cui le angoscie sono sciagure di un giorno... ecco un mondo fragile sotto i nostri piedi quanto la nostra creta(69).
      Roma dalle:
     
      Antiche mura, che ancor teme, ed amaE trema il mondo quando si ricorda
      Del tempo andato e indietro si rivolve"(70)
     
      Affermano Roma avesse tre nomi uno sacerdotale ed era Flora o Anthusa, l'altro civile, che fu Roma, il terzo misterioso Amor. Quanto a me credo di ciò sia niente e l'Amor nascesse da leggere alla rovescia il nome Roma; chè se mai avessimo a reputare vera la leggenda questo noi impareremmo di più, che ammonita fino dai suoi primordi ad amare trasgredì perpetuamente al precetto, donde le venne quel fascio di miseria, che sbigottisce i suoi stessi nemici, e tuttavia dura; imperciocchè nè senno astuto, nè prodezza di braccio valgano dove manchi amore. - Non può accertarsi, pure è da credersi, che la umanità ti ami quando le rompi con l'ariete i muri di casa per farci penetrare la luce, e certo poi ti esalterà se le apporterai un tanto benefizio per virtù di persuasione, e la tua potenza poggerà sopra saldi fondamenti; ma il dì che inebbriato della scienza, o della forza farai sentire agli uomini che tu mutasti loro la soma non la servitù, quel dì avrai pronunziato la tua sentenza di morte; immaginando incatenare altrui ti accorgerai avere incatenato te stesso; nel porre agli altri un limite te diffinisti; e le cose finite sono destinate a perire.


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Lo assedio di Roma
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Zecchini Livorno
1864 pagine 838

   





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