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      Intanto Benedetto Papa ricalcitrante muore, e dicono di veleno; Giovanni si sottrae con la fuga al carcere bavarese; se connivente o no il Palatino non importa cercare; solo corse fama non lo lasciasse ire senza averne avuto lo sbruffo di 300,000 pezzi di oro; di Liguria scrisse a Martino profferendogli obbedienza, e fu accolto a braccia quadre; Martino per la consolazione lo ribenedisse Cardinale, anzi lo fece decano del sacro collegio, e gli compartì l'onore del tappeto, e della predella in pubblico; quanto gli poteva dare gli dette, tranne vita lunga; morì Giovanni povero, almeno così dichiara il testamento di Giovanni dei Medici, i quali dopo la morte di cotesto spiantato salirono al grado dei primi banchieri d'Italia, forse del mondo!
      Braccio da Montone capitano di ventura messo da Giovanni XXIII a tenere Bologna in devozione della santa sede, viste le cose di cotesto Papa andare a rifascio, vende ai Bolognesi la propria libertà per settanta e qualche mila fiorini di oro: poi conducendo la guerra per conto proprio espugna Perugia, ed occupa Roma; ma nel punto in cui sembra, che meno possa cadere acconcio tra Braccio, e Martino, attese le scambievoli ingiurie, allo improvviso si accordano. Papa Martino finchè di lui il mondo potè dire quello che per istrazio gli cantavano i fanciulli a Firenze sotto i balconi: papa Martino non vale un quattrino, si mostrò migliore del pane, ma appena visto il destro di fare da lupo propose a Braccio ripigliarlo in grazia, dove in pegno della novella amicizia gli ricuperasse Bologna: gli è vero, che il Papa avevale concesso di reggersi a libertà, purchè osservasse obbedienza alla Chiesa, e tanto Bologna aveva promesso di fare, e faceva; ma ai Papi non sembra governare se non sono tiranni; però non ostante l'accordo Braccio rendeva serva al Papa Bologna a cui prima aveva venduto la libertà; e le stette a pennello però che le libertà comprate non durino, e in questo caso vale meglio tenersi i danari.


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Lo assedio di Roma
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Zecchini Livorno
1864 pagine 838

   





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