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      Mosso dalle quali considerazioni prese a favorire i protestanti anzi tirarseli a sè con doni, e con pecunia; l'autorità di Cesare per le battiture della fortuna scemando crebbe la baldanza nei germanici; di qui risse, ed oltraggi ai prelati massime spagnuoli, che male sopportando il presente, troppo più temevano pel futuro; onde non parve vero a tutti tornarsene a casa; molto più, che il Concilio non si scioglieva, bensì si prorogava: termini medi dentro i quali si adagiano beatamente le anime codarde.
      A Giulio non parve vero uscire dal pelago per immergersi nella naturale indolenza; si chiuse nei diletti della vita, non però volgari, chè temperato ei fu, e cultore dei buoni studi, e delle belle arti; attese a fare stato ai suoi: la duchea di Camerino rapita alla Varana concesse a Baldovino, non in signoria assoluta, ma in feudo; modo che in fine di conto torna ad alienazione sovversiva (secondo le moderne dottrine della curia romana) la Chiesa di Cristo.
      Marcello Cervini, che sotto nome di Marcello II subentra a Giulio nella cattedra di San Pietro passa come ombra; lo celebrano buono; forse ei non deve questa reputazione se non al tempo breve, che soggiornò sopra la terra.
      Già toccammo di Giovampietro Caraffa, uomo torbido, sempre in contrasto seco stesso o con altrui; renunziò vescovato ed arcivescovato per fondare l'ordine dei Teatini, ma si lasciò eleggere cardinale; contava ben settantanove anni quando lo promossero Papa; parte dei costumi di lui, anzi anco dei detti gli scrittori attribuiscono a Sisto V, però che fosse egli il quale gittata di un tratto la lunga ipocrisia appena vestito il gran manto, interrogato quale desiderava avesse ad essere il suo trattamento e la mensa, rispose: da principe grande; indole impastata di odio senza pure un pugillo di amore; si vantava non avere mai compiaciuto persona di cosa che gli fosse richiesta; bastava, che taluno lo supplicasse di qualche favore perchè subito sorgesse in lui la repugnanza invincibile di concedergliela.


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Lo assedio di Roma
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Zecchini Livorno
1864 pagine 838

   





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