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      Gli storici affermano che il duca di Alba non si apponesse al vero, imperciocchè il Caraffa perlustrasse la città non per avviso speciale, ma sì per abito di militare diligenza; e i cavalleggieri fossero usciti con tutt'altra intenzione, che quella di chiamare i Francesi. L'oratore di Venezia Bernardo Navagero afferma intendimento del duca di Alba essere stato sol quello d'impadronirsi della persona del Papa e così troncare di un colpo la guerra tuttavia bene nota il Prescott nella vita di Filippo II è difficile credere, ch'egli avesse potuto, entrato ch'ei fosse, contenere quella, che il nostro Niccolini definisce:
     
      Avara crudeltà di Catalogna.
     
      E volente, o no si sarieno rinnovati i recenti orrori del contestabile di Borbone, ed i più antichi dei Goti; e a questo modo la pensa anco il Campana, il quale dichiara quanto allo assalto notturno degli Spagnuoli il cardinale Caraffa averne avuto odore dal segretario Placidi, e quanto al sacco essere cosa ormai stabilita fra i Tedeschi che si trovavano col duca di Ala. I Romani commossi dal pericolo con vivissime istanza, che facevano sentire la violenza, chiesero al Papa smettesse la guerra; ma questo vecchio indracato li chiamò vili, ribaldi, degeneri da quegli antichi Romani, che innanzi di sottomettersi ai Goti elessero morire di fame, ma a fiaccargli l'orgoglio giunsero a un punto la nuova della sconfitta dei Francesi a San Quintino, e il richiamo del Guisa, il quale si mostrava tanto di cotesta impresa ristucco, che a cui non voleva saperlo andava dicendo: "nè manco con le catene lo avrieno tenuto in Italia.


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Lo assedio di Roma
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Zecchini Livorno
1864 pagine 838

   





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