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      L'Ariosto nell'Orlando lo leva a cielo; nelle satire è altra cosa. Il Tasso sel sa se meritava le laudi che prodigo troppo gli sbraciava: il mondo sa la lunga prigionia a cui lo dannava, ma forse una causa più o meno giusta per questo possiamo supporre ch'egli avesse, ma il mondo ignora come lo lasciasse penuriare così anco nei giorni di favore da obbligarlo di mettere in pegno allo ebreo certi arazzi di casa e perfino le camicie; ed io non so immaginare sfregio più grave di quello, che gli fece quando con questi due versi ordinò gli desse il suo fattore una botte di vino:
     
      Una botte di vin sia data al Tasso,
      Mangi, beva, poeti, e vada a spasso!
     
      E più tardi scrivendo il Tasso al duca di Urbino ecco a che riduceva in prosa il magnanimo Alfonso cantato in versi: "il duca per naturale inclinazione è dispostissimo alla malignità, ed è pieno di una certa ambiziosa alterezza, la quale egli trae.... dalla coscienza del proprio valore, del quale in molte cose non si dà punto ad intendere il falso." -
      Disperato di prole, e pure repugnante a menomare la sua autorità, tardi elesse Cesare cugino suo erede, il quale ammonito come Clemente intendeva ricuperare ad ogni patto Ferrara feudo chiesastico deliberò mostrare il viso alla fortuna raccogliendo armi ed armati, munendo le fortezze, e facendo ogni altra provvisione di esperto capitano di guerra; e il Papa dal canto suo non si arrestava; anch'egli data la stura ai tesori di Sisto arrola eserciti, ammannisce grande apparecchio, conduce generali illustri, e non omette scomunicare Cesare con parole esecrabili, a suono di trombe e di tamburi, mentre le campane rintoccavano a morto, e gittando, giusta il costume, dalla loggia di San Pietro una torcia accesa sopra la piazza del Vaticano: però le sarieno state novelle, se Spagna non pativa, che il Papa facesse, e Francia non lo aiutava a fare; Cesare di Este assai si confidava a Filippo, tanto, che lo propose arbitro della lite, e si profferse mettere presidio spagnuolo nelle sue fortezze; non meno si riprometteva da Enrico avendolo gli Este sovvenuto nelle sue angustie di un milione di scudi, il quale se gli fosse stato restituito gli dava abilità di mettere insieme tale uno esercito da contrastare qualunque più potente principe della cristianità non che il Papa, tuttavia al maggiore uopo gli venne meno ogni cosa; Filippo vecchio, e sfiduciato, vinto ormai dalla sua impotenza piuttostochè persuaso della umana pochezza come dal suo testamento si manifesta rifuggiva a commettersi da capo alle ansiose vicende della guerra, però scrisse ai suoi Vicerè d'Italia lasciassero correre: Enrico era nemico mortale della gratitudine: troppo gran servizio il milione di scudi, ond'ei potesse rimunerarlo con altro, che col perseguitare il creditore; e poi lo stringeva necessità di tenersi bene edificato il Papa, il quale o favellasse sincero oppure fingesse sempre dubitava della lealtà della sua conversione, per la quale cosa non gli parve vero potere gratificarselo alle spalle altrui; e da ciò venne che non solo consentì al Papa di operare a modo suo, ma sì gli scrisse avrebbe mandato in soccorso di lui uno esercito intero oltralpe, e se non bastava sarebbe accorso in persona: se poi lo avesse fatto, è un'altro paio di maniche.


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Lo assedio di Roma
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Zecchini Livorno
1864 pagine 838

   





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