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      Tra i Veneziani allora viveva un frate servita Paolo Sarpi uomo di costumi illibati, dotto in molte maniere di sapienza umana, d'ingegno acre, e battagliero, indefesso agli studi, nelle dottrine canoniche singolare; e per di più padroneggiato da passione dominante, che era l'odio contro l'autorità temporale dei Papi: il Senato l'oppose a Roma; e il Sarpi solo dimostrò col vangelo, co' dottori, ed anco con i Concili (perchè ce ne ha di tutti i colori) che tutto potere ci viene da Dio e lo ha detto l'Apostolo (il quale se la poteva risparmiare) che ogni persona è tenuta ad obbedirlo, e lo ha detto Dio; al principe sta dettare le leggi, giudicare la gente, imporre le gravezze, ed in questo così chierici come laici dovergli sommissione: per nulla le prerogative del principato eccezione del sacerdozio; al contrario quelle del sacerdozio concessioni del principato; questo dette alla Chiesa possesso e giurisdizione, e l'è protettore, anzi patrono; da lui pertanto a buon diritto dipendono la nomina ai benefizi; e la pubblicazione delle bolle, e via discorrendo. Gli è chiaro che riusciva più agevole mettere insieme l'acqua e il fuoco, che queste due pretensioni contrarie, si venne alle rotte, e il Papa scomunicò il Doge, il Senato, tutti i magistrati della repubblica, e segnatamente i consultori; impose altresì ai preti pubblicassero la scomunica dagli altari, o affiggendola alle porte della chiesa, a chi mancasse guai in questo mondo, e nell'altro. Il Doge Leonardo Donato, eccetto un po' di decreto stampato in un quarto di foglio col quale ammoniva il clero a non curarsi di quelle grullerie, ed a continuare nel debito verso la Patria, non se ne dette per inteso.


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Lo assedio di Roma
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Zecchini Livorno
1864 pagine 838

   





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