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      Per quanto ci è dato conoscere i suoi concetti questi: nelle faccende interne un po' di amministrazione liberale e abusi quanti più potesse levati di mezzo; guerra di sterminio alla democrazia; crescere le apparenze, non la sostanza dello Statuto; fuori lo accusano aversi voluto legare con l'Austria per bilanciarsi col Piemonte, da lui, e più dal Papa preso in uggia, ma non lo credo; credo piuttosto che intendesse equilibrarsi col sussidio di Napoli, e di Toscana: disegno scarso ad un punto e troppo; scarso per provvedere ai tempi grossi, soverchio per inimicarsi i democratici, i preti, e i parziali al Piemonte; di più aveva contro l'onda del secolo, e l'ira delle moltitudini.
      Quest'uomo o improvvido, o acre pareva compiacersi di pungere il genio della città unendosi nel ministero gente a dritto detestata per illiberale, come l'avvocato Cicognini, che di capo della estrema destra diventò ministro di grazia, e di giustizia, e il generale Zucchi, che usciva di prigione dell'Austria con buona fama per macularla a Rimini nel 1831, e nella resa di Palmanuova nel 1849 offuscarla affatto, fu promosso ministro della guerra. Ora essendo cosa ordinaria che chi dirige dia la intonatura lo Zucchi venuto a Roma disse alle guardie civiche parole dure e aborrite; andato a Bologna, tolse pretesto da qualche brutto fatto commesso dal popolo armato per disarmare popolo, e volontari, contro i corpi di Garibaldi e di Masina spedì milizie; costume vecchio, e nuovo di governo tirannico eccitare disordini, o non prevenirli per pigliarne poi la congiuntura d'insidiare la libertà: nelle provincie, e a Roma il popolo bolliva, anco la guardia civica portava il broncio; la nuova Camera uscita da pochi elettori, rappresentava colà come altrove una classe sola repugnante per timidità, o per altra più rea passione, da usare risolutamente della libertà: ciò era molto, massime a quei tempi, per rendere detestabile un'uomo, ma il Rossi fece peggio; dopo inimicati i democratici venne alle rotte con quanti parteggiavano pel Piemonte, e per la guerra, che non erano pochi, stampando sul Monitore romano certi suoi scritti co' quali trafitti prima gli Albertisti dichiarava volersi accostare a Ferdinando di Napoli belva di re; per colmare lo staio il 13 novembre fatto mettere la mano addosso a Vincenzo Carbonelli, e a Gennaro Bomba napolitani agitatori irrequieti li mandava a Civitavecchia per espellerli dallo stato: arrogi, che presagendo egli resistenza si ammannisce a sfidarla, al quale scopo ordina nel Corso una lunga sfilata di gendarmi, come per avvertire i Romani che si giocava di vite; distribuiva poi i Carabinieri nei dintorni del palazzo della Cancelleria non senza prima arringarli dicendo, che in caso di sommossa dimenticassero l'essere cittadini per rammentarsi che erano soldati.


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Lo assedio di Roma
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Zecchini Livorno
1864 pagine 838

   





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