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      All'aspetto di cotesta gloria di arte, i Francesi si sentirono domi, parve a taluno commossi ad ammirazione, sicchè taluno cogliendo il destro a volo per solcare bene nella mente loro la memoria del fatto con voce solenne vibrò gli echi della fabbrica immensa che ripeterono dall'alto come un comandamento di Dio, dal basso come preghiera dei mortali e dei morti: "Francesi ed Italiani prostratevi tutti qui dinanzi l'Onnipotente, e sollevate a lui una prece per la libertà dei popoli e per la fratellanza universale." Prostraronsi tutti, e tutti giurarono: i giuri, gli abbracciari, i baciari rinnovaronsi fuori della porta Cavalleggeri; ma non erano i Francesi andati oltre cento passi, che tutto avevano messo in oblio; per cotesti cervelli affetti, e memorie passano come acqua per mezzo alle grondaie. - L'Oudinot ringraziava; restituiva i bersaglieri ma senza moschetti e senza bagaglio, e nè manco rendeva le armi rapite, sicchè all'Avezzana toccò mandarne loro onde entrando in città comparissero armati, avendo saputo com'essi fossero risoluti di cogliere alla sprovvista gli ultimi avamposti francesi, e ricuperare così gli schioppi rubati.
      Che importa a noi contristare l'animo ed abiettare queste carte col racconto delle infamie dell'assemblea di Francia, e delle insanie dei nostri vantati amici? Con costoro non possiamo nè manco saldare il conto su la traccia del proverbio: "tanto è il ben che non mi giova, quanto il mal che non mi nuoce;" dacchè ci nocquero pur troppo tenendoci a bada con promessa di opere, che poi comparvero troppo insufficienti allo scopo, e con parole dubbiose; tale correndo il vezzo oggidì, che anco i più audaci non ardiscono rompere il guscio dello equivoco, la verità scotta le labbra: sotto il velame delle parole ambigue, ognuno tratta i suoi negozi come gli Arabi costumano toccandosi le dita sotto il mantello.


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Lo assedio di Roma
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Zecchini Livorno
1864 pagine 838

   





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