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      I prigionieri furono tosto restituiti; le ragioni spiccie a persuadere i preti crescono nei boschi.
      Il re Ferdinando concupì la gloria di conquistatore; solo voleva conquistare a man salva, però quando seppe sgombra la frontiera pel richiamo della milizia a Roma si attentava allungare il passo oltre il confine Romano: secondo la natura speciosa di lui lo precedeva un proclama col quale mostrando le granfie rattratte diceva avere speranza di non essere costretto ad usare le armi per restaurare il supremo Gerarca della Chiesa; varcò il confino in compagnia, chi dice di 12, e chi di 15 mila uomini; gli stavano attorno principi, duchi, ministri, e perfino monsignor Giraud per ripigliare il possesso in nome del Papa, delle provincie ripurgate con la spada di Ferdinando re, il quale messa la gente alle stanze tra Velletri e Albano, là attendeva per rivincere i Romani, quando fossero vinti.
      La tregua dei francesi con Roma arriva inaspettata a Ferdinando, e gli parve tradimento; forse fin d'allora statuì ritirarsi, ed in cuor suo maledisse il momento di essersi messo a repentaglio, ma fu il pentirsi tardo, che gli si spinse addosso il Garibaldi. Questo capitano si traeva dietro il battaglione dei lombardi, e Manara. In brevi accenti importa dire chi fossero gli uni e l'altro: reliquie i primi di corpo più vasto, che mal seguendo le orme del re fu secondo il solito derelitto da lui; non bene fra loro concordi perchè volevano ad un punto piacere al Piemonte, e non alienarsi i Repubblicani; umiliaronsi ai ministri regi e ne ritrassero onte, e strazi: ingannati su la strada da farsi per la perfidia dei medesimi ministri ebbero a lasciare le artiglierie per via; quando meno se lo aspettano i soldati del Piemonte si rovesciano su loro e gli artiglieri disperdono, i cannoni tirano dentro in Alessandria.


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Lo assedio di Roma
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Zecchini Livorno
1864 pagine 838

   





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