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      Ma volere è vinto dal non potere; quindi poichè i suoi compagni attriti dal digiuno, e dalla fatica ormai balenavano cadere ei fece sosta in mezzo a un prato. Qui agli occhi maravigliati dei giovani lombardi apparve uno spettacolo nuovo; appena il Garibaldi ebbe dato fiato alla tromba ecco i fanti buttare là le armi, e mescolarsi insieme vari di vesti, di armature, di tutto; nella camicia rossa pari; soldati, e capitani non solo uguali, ma i secondi sovente servi ai primi, tutti alla busca, ognuno è macellaio, e cuoco; nè si desidera molta perizia in questo, chè cibano le carni appena rosolite; i cavalli liberi di sella e di freno in balìa di loro stessi; poi li ripigliano col laccio nel modo che agguantano pecore e buoi; dopo sazi si giacciono giù in terra e somministra ai cavalieri letto e guanciale la sella; ai pedoni un sasso, e se nè anco questo trovano, sottopongono al capo un braccio, e basta. Intanto il Garibaldi s'incammina su le alture, e col cannocchiale fisso su gli occhi sta vigilando per tutti, poi scese, dettò alcun ordine, e si ammannì la tenda per riposarvi sotto, la quale in un battere di occhio fu lesta però che in questo modo la costruissero; la sciabola ignuda ficcarono alquanto in terra, legarono per traverso il fodero in croce, appoggiarono al punto d'intersecazione una lancia, sopra essa gettarono il suo mantello e la tenda fu fatta; il Garibaldi ci si stese sotto riposando alcun poco le membra.
      Il conte Dandolo s'inalbera per cosiffatti costumi del Capitano e dei soldati, ma pure ci correva poco screzio con quelli dei suoi bersaglieri, anzi dello stesso Manara; dacchè l'Hoffstetter racconta com'essi nella medesima maniera agguantassero pecore, e bovi, li scorticassero, e arrostissero mettendocisi intorno il Manara come gli altri con le maniche tirate su fino al gomito; ed anco il nobile giovane non si dà pace perchè nella legione del Garibaldi a molti prodi e dabbene si mescolasse gente di ogni risma; e' sono fumi aristocratici senza costrutto; di vero s'egli senza commoversi racconta come i suoi bersaglieri militassero per fame sotto bandiera aborrita poteva non arricciarsi degli altri considerando, che il bel morire onora la vita, nè meritava spregio chi travolto da ree passioni in mezzo ai traviamenti pure rinveniva forza in sè da ritrarsene, nè molto meno si potevano essi respingere dal santo proposito di espiare le passate colpe con magnanimo fine.


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Lo assedio di Roma
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Zecchini Livorno
1864 pagine 838

   





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