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      A Rieti lo fulminò la nuova della morte della sposa diletta, non pianse, non disse motto, ma gli amici che lo videro orribilmente mutarsi in volto procurarono badarlo attentissimi, onde per ventura furono a tempo a trattenerlo quando allo improvviso egli volse contro di sè le mani violente. Lo consolarono, e il forte uomo si consolò da sè, sentendo come ad ogni minuto gli si parava la occasione dinanzi di morire per la Patria; da per tutto ei fu, in ogni parte combattè sempre nella ferocia pacato, vigile, e previdente così, che la milizia gli conferiva il nome di perfetto soldato.
      La storia dolente della morte della amata sua donna è questa; ella usava la mattina per tempo recarsi in chiesa a supplicare Dio per la conservazione del carissimo capo, l'adocchiò un ufficiale austriaco, e prese a perseguitarla per libidine assai, ma più per istrazio sapendola moglie di un ribelle; non valse alla meschina di starsi con riguardi, non di fuggire via un giorno, ch'egli in agguato la colse; nello androne della casa la raggiunse, la mano le pose fra i capelli, ed ogni sforzo tentò di brutale violenza, ma la valorosa si difendeva adoperandoci anco i denti, finchè la gente accorrendo tratta dal rumore del tumulto, costrinse il malnato a lasciare la donna non prima però di averla pesta co' piedi sul petto così, ch'ella infermatasi gravemente non ci lasciasse la vita.
      Il Binda difese prima la villa Panfili, il tre di Giugno in una delle volte, che dopo respinti i Francesi, occupammo il Casino dei Quattro Venti lo preposero a tenerlo contro gli assalti nemici; toccò a lui la parte che prospetta Roma; i Francesi tornati tumidi e grossi instavano con tutte le forze a girare dietro le spalle dei nostri attelati davanti il palazzo: orribile lotta fu quella, la compagnia del Binda ne rimase quasi disfatta, gli ufficiali tutti morti o feriti, ma respinse sempre gli assalitori; lui pure colse una palla nella gamba sinistra, che lo rese inabile alla milizia.


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Lo assedio di Roma
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Zecchini Livorno
1864 pagine 838

   





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