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      Taluni dei loro scrittori immaginando cose vane, ovvero usurpando per loro tratti di magnanimità che da loro furono uditi soltanto, seguendo l'usato costume attribuirono ad un soldato francese l'avventura di essere andato a cogliere albicocche sur un'albero in mezzo al tempestare delle palle nemiche; ciò è vero, ma invece di albicocche elle erano fragole e fin qui non monta, ma il soldato invece di francese era italiano anzi il Cadolini nostro, che se nella gloria della eloquenza valesse quanto vale nelle armi, la Italia moderna non avrebbe ad invidiare Cicerone all'antica; egli, nè solo, si attentò andare a raccoglierle negli stessi giardini occupati dai Francesi, e farne dono al Medici l'Aiace dello Assedio di Roma.
      E siccome noi sopra tutto detestiamo la taccia d'ingrati, pessimi tra i rei, i quali dovrebbero nelle nostre contrade come presso i Chinesi punirsi, dacchè giudichiamo la ingratitudine non solo delitto in se, ma sì generatrice di ogni altro delitto, ci guarderemo di passare inonorati nelle nostre scritture due generosi stranieri uno francese, l'altro pollacco di cui mi occorre memoria nei libri, e nelle note del Generale Sacchi. Chiamavasi il primo Laviron capitano di stato maggiore presso il Garibaldi, il quale un dì avvampante di sdegno per le spesse morti cagionate dai Cacciatori di Vincennes salta sul parapetto, e additando la croce della legione di onore, che gli fregiava il petto si mise a gridare: "assassini! tirate su questa croce, che ebbi dal grande imperatore.


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Lo assedio di Roma
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Zecchini Livorno
1864 pagine 838

   





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