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      Al Garibaldi, che certo giorno visitava le opere condotte da questi sciagurati, uno di essi parlò e disse: "posso io discorrervi? - Parlate. - Generale, perchè mo' ce lasciate là e' Francesi?" E gl'indicava il Casino dei Quattro venti; a cui il Generale sorridendo: "perchè non ci riesce a cacciarli via. - Ma scusate Generale se ce andiamo noi, loro non ci possono stare. - Qui appunto sta l'osso. - Scusate Generale questa difficoltà non ce la vedo, se me date quaranta omini di fegato, io ve caccio li Francesi da quel posto." Ebbe il servo della pena i quaranta compagni, e andò diritto al palazzo Corsini pigliando per la porta e per lo mezzo del viale fiancheggiato da cipressi; appena i Francesi li scorgono con le infallibili carabine li fulminano, taluni cascano, altri riparano dietro ai cipressi, ma il condottiero di cotesta impresa non curante di loro procede imperturbato col suo moschetto sopra la spalla; il nemico riseconda la scarica, e per questa eziandio taluni ristanno per ferite, altri per paura, nè costui piega collo, solo passa la linea delle scolte nemiche, e solo arriva a piè del palazzo, dove per mostrare ai Romani, che dalle mura lo seguitavano trepidanti coll'occhio, come in lui non allignasse jattanza o se pure jattanza non superiore alla virtù si pose a sedere su la gradinata davanti all'uscio col fucile fra le gambe. Il Garibaldi
      acceso in volto eccitava i circostanti ad avventarsi con lui al soccorso dell'animoso; il forzato intanto poichè si fu rimasto tempo più, che bastevole per essere veduto così dagli amici come dai nemici, si leva in piedi, e con l'archibugio su la spalla ripassa la linea delle sentinelle francesi, e di bel nuovo per lo mezzo del viale s'incammina a Roma; ormai ne aveva trascorso più che un terzo quando una palla lo ferì nei reni, ed egli tracollando inforcò con la testa un cipresso dove finì la mal vissuta, ma ben conchiusa vita.


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Lo assedio di Roma
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Zecchini Livorno
1864 pagine 838

   





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