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      In questa notte pertanto il Bassi facendosi a trovare il medico del Generale tutto affannoso gli diceva:
      O Ripari mio; i Francesi hanno preso la breccia; possibile mai! Io non ci credo. Bisogna saperlo di certo. - E come possiamo fare? Rispondeva il Dottore. - Andare noi stessi a vedere. - Questo non si può, troppo lunga è la strada, pioviscola, e sul cammino si sdrucciola. - Vieni, ma vieni, fammi la carità, non mi mancare amico." E il Ripari, che mai non seppe negare siffatte voglie allo amico andava con lui. - Le mura si vedovano per l'aere fosco a cagione della linea anco più nera, che disegnavano in quello; di un tratto la mirano spezzata, con molta cura accostansi, ma non rinvengono persona, che occupasse lo spazio vuoto; proseguirono fino alla seconda cinta, e qui notarono incoronate le macerie di punte. "Eccoli lì, parlava sommesso il Ripari, coteste le sono baionette. E il Bassi, - non si può negare, ma come ci chiariremo se le sono nostre o piuttosto nemiche? Aspetta mo', che ti chiarisco io, riprese il Ripari; poi a voce alta gridò: "chi va là?" Dalla trincera con accento strano risposero: "amizi, amizi." Nè di tanto pago il Ripari da capo esclama: "avanti!" E la medesima voce di rimando: "non puole, non puole." "Ti basta?" Il Bassi strinse la mano al Ripari come convulso, e questi lo persuase a gettarsi seco nelle vie coperte praticate dai nostri lungo le mura per iscampare ad imminentissima morte. -
      La breccia era presa: ora come mai avvenne questo? Corse subito il grido di tradimento, e tuttavia dura, però importa considerare come quante volte simili sorprese succedono, la voce di tradimento venga a galla sempre, e la cosa ci sia di rado: qui dissero, che un'ufficiale corso calatosi dalle mura andasse ad informare i Francesi, che lì presso alla breccia occorreva un antico acquedotto, e per questo i Francesi inoltrandosi sicuri, e d'improvviso apparissero sopra la breccia come usciti di sotto terra, e non fu vero: di acquedotto non si rinvenne traccia, nè ai Francesi faceva mestieri di fuggitivi, che gli ragguagliassero; come altrove accennai, molte lettere arrivavano loro pel Tevere chiuse in boccie vuote, e quasi queste non bastassero col favore dei preti entravano ufficiali francesi ad ogni momento per ispiare lo stato delle difese: fantasticarono altresì, che l'ingegnere prussiano co' suoi lavoranti invece d'incendiare le mine praticate nelle vie coperte se la intendesse co' Francesi e loro consegnasse per pecunia le vie dond'essi sbucarono: ed anco questo sembra falso; vero questo altro: che i Francesi cadutigli addosso repentini, lui, e i suoi menassero prigioni: non mancarono attribuirne la colpa al maggiore Delaj, ed anco si ventilò se avesse a sottoporsi a Consiglio di guerra, ma poi si lasciò correre.


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Lo assedio di Roma
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Zecchini Livorno
1864 pagine 838

   





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