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      Comunque ciò fosse, Rogiero considerando adesso la impossibilità di celarsi, trasse fuori dal nascondiglio, e si avanzò verso Ghino. Quel, suo comparire improvviso, la ricca armatura di che egli andava coperto, e il bel sembiante, gli davano aria di San Giorgio che ha abbattuto il dragone; e per San Giorgio, e per l'Arcangiolo Michele, lo avrebbero adorato quelle menti superstiziose dei masnadieri, se Ghino facendoglisi innanzi con lieta accoglienza, non gli avesse stretta la mano, dicendo: "Io vi devo la vita, bel Cavaliere."
      Nè aggiunse parola, ma il modo col quale queste poche furono espresse dimostrò a Rogiero, che aveva trovato uno amico, uno che avrebbe dato i suoi averi, la sua vita, e il suo onore, per vederlo felice; gli dimostrò in somma tutti quei sentimenti, che favella al mondo non si vanta potere proferire, e, quando anco potesse, il cuore sdegnerebbe adoprare, perchè la profonda passione sta muta, ed un ringraziamento loquace nella testa di cui lo pronunzia serve a sdebitarlo della metà dell'obbligo.
      Queste vicende accadevano in brevissimi istanti; però Ghino, salutato Rogiero, si volse subito a Drengotto, ed aiutò i compagni ad allacciargli alla meglio le arterie tronche, ed impedire la effusione del sangue, che ormai troppo aveva perduto quell'empio. Lo tolsero in appresso quattro masnadieri sopra le braccia, e s'incamminarono soavemente alla capanna; Ghino gli sorreggeva la testa. Per via il ferito si rinvenne, e alzando gli occhi aggravati vide il condottiero, al quale con voce mezzo spenta parlò: "L'uomo curioso che siete voi, messere!


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La battaglia di Benevento
Storia del secolo XIII
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1852 pagine 699

   





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