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      No, Monsignore; ell'è una nuvola,
      qualcheduno gli risponde; e Carlo torna a desiderare, e cupo nel sembiante incamminasi là d'onde si era partito.
      Oggimai un uomo, per quanto in fondo della ignoranza, agevolmente comprende – il ladro o non avere sentimento veruno, quando si appresta a fare suo pro della roba altrui, o, se pur l'ha, essere in tutto simile a quello del conquistatore. Vero è bene, che questo s'ingegna di ornare il suo fatto co' luminosi fantasmi della gloria; ma il belletto trovato dagli accorti per magnificare il delitto del forte, che hanno punito nel debole, – il nome diverso, chiamando nei molti gesto, impresa, conquista, quello che nei pochi hanno appellato furto, non acquieta la coscienza, e ciò che togli altrui, sia poco, sia molto, sia con migliaia di armati, o con una sola mano, o vuolsi reputare male per tutti, o per veruno. La pena si assomiglia a una insegna, che tanto più si dipinge di rosso quanto meno lo albergo è agiato, e il vino buono: la si ritenga risolutamente marca che da secoli e secoli inganna, e continuerà ad ingannare la gente; per la quale si toglie per buona una merce, che non è tale. Considera il mondo, e troverai l'origine delle pene nella prepotenza più tosto che nella ragione. Ho scritto questi pensieri non già perchè Carlo avesse il più leggiero rimorso a cagione del gran furto che stava per commettere, ma perchè qui mi si sono affacciati alla mente. Quello che adesso agitava l'anima del Conte era la idea del molto pericolo, unito ad un senso magnanimo, che lo rendeva cupido d'imprese pericolose.


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La battaglia di Benevento
Storia del secolo XIII
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1852 pagine 699

   





Monsignore Carlo Carlo Conte