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      Mi riparai nella capanna di una guardia dei miei boschi, dove la pietà di alcuni vassalli amorosamente mi trasportò; invano fui ricercato dalla vendetta, che la fedeltà dei vassalli prevalse con unico esempio alla rabbia dei nemici. Giunsi a sanare, comecchè in parte rimanessi deturpato: mi provai le armi; da prima mi parvero insopportabile peso, a mano a mano come per lo tempo passato leggiere. Allora mandai cartelli a diversi Baroni perchè mi concedessero il campo, e sfidai il traditore. Drogone tacque, i Baroni risposero scusandosi che non potevano tenere il campo. Mandai messi, lettere a Manfredi; nessun messo tornò indietro, nessuna risposta. Così logorava il mio tempo, e la mia anima. Una sera sul finire di marzo la guardia venne ad avvisarmi che fuggissi; avere veduto molti armati sparsi pel bosco, ed inteso che mi cercavano; – mi affrettassi, un sol momento mi avrebbe condotto a certa rovina. Fuggii, ma parendomi impossibile sottrarmi alle perquisizioni dei cavalieri, che mi sentiva alle spalle, divisai aggrapparmi sopra un albero: quivi passai la notte, – qual notte! che Dio la faccia provare soltanto al mio nemico! – Alla mattina tesi l'orecchio, nessun rumore si sentiva per la foresta; scesi, e mi avviai senza sapere dove, che troppo mi gravava tornare alla casa di cui mi aveva cacciato: vero è bene, che ciò facendo provvedeva alla mia ed alla sua sicurezza, ed il bisogno l'aveva costretto; ma ad ogni modo io era stato cacciato, e fosse superbia, o generosità, piuttosto che riparare nuovamente in quel luogo, avrei scelto morire a cielo scoperto.


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La battaglia di Benevento
Storia del secolo XIII
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1852 pagine 699

   





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