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      ... tu.... ma io non maledirò mai l'ora del tuo nascimento.
      Io l'ho maledetta.
      L'hai? Dunque è finita per me; io non devo mostrarti più questo mio volto; perdonami la colpa involontaria di averti dato la vita, come io ti perdono il fallo meditato di averla maledetta. Là nelle mie stanze, nascosta ad ogni vivente, lascerò logorarsi nella fame un corpo, che ha generato figliuoli alla miseria. Da te non vo' lagrima, non preghiera; nè devi darmela, perchè tu aborri quello che la Natura ha posto per vincolo di amore tra madre e figlia: – ma per gli affanni che mi hai fatto durare, per le pene passate, per le presenti.... quando sarò morta, deh! ti scongiuro, figliuola, non venire a rimproverare la tua vita alla mia polvere, – lasciala dormire in pace.... ossa delle mie ossa, non mi perseguitate nel seno dell'eternità!
      E qui la Regina Elena si allontanava. Yole agitata da fiera convulsione stese le braccia co' pugni chiusi, e stirò la persona, levandosi su l'estreme punte dei piedi; il bianco degli occhi orribilmente dilatato non aveva più pupilla, che tutta le si era nascosta nel ciglio, – solo una reticella di vene sanguigne che lo sforzo aveva fatto comparire: era sua intenzione richiamare la madre, ma il detto non potè uscire intero dalla gola ingrossata; appena con istento infinito suonò come singulto. La Regina non comprese quell'accento, e continuò suo cammino: Yole disperata di potere farsi intendere con la voce, ricorse alle mani; pure se le fu concesso stendere le braccia, non potè articolare le dita, e fare l'atto che richiama, però che la convulsione gliele teneva serrate in tanto aspra maniera, che le unghie le si erano fitte in mezzo delle palme: ritentò con la voce.


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La battaglia di Benevento
Storia del secolo XIII
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1852 pagine 699

   





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