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      Pensi l'uomo, che il suo corpo deve formare due o tre zolle di terra, e un numero infinito d'insetti: e se le passioni implacabili non taceranno, imperverseranno meno spietate nell'anima sua. Noi siamo tali per nostra propria conformazione, che, bisognevoli di piacere, rifuggiamo spaventati, non che dal dolore, dalla fatica; ora immaginati se il pensiero vorrebbe fissarsi su la meditazione della morte, ch'è sommo dei dolori; però fa di mestieri costringerlo con sensazione continua. Veramente il tempo sarebbe meglio impiegato in qualche opera di grandezza, ma le occasioni di operare sublimemente occorrono rade, figliuolo, e rade bene; intanto aspettando che vengano, quale studio torna più vantaggioso di quello che ci svela la debolezza della nostra natura, e ne avverte tutte le condizioni pareggiarsi nella bilancia della morte, e forse una terra più perfetta emanare dalle membra dell'uomo per assiduo travaglio robuste, per temperato cibo incorrotte, che da quelle imputridite di colui che visse nella mollezza? O figliuol mio, non torna vano aprire la terra nella quale dobbiamo essere sepolti."
      Io avrei creduto che replicando ogni giorno questa opera, l'uomo vi si fosse da gran tempo abituato, e il suo timore rimanesse come era avanti che la cominciasse. Ma, padre mio, che cosa ha mai la vita, che meriti tanto apparecchio per finirla? Se l'uomo per fastidio, per dolore, o per altro, vuol darsi la morte, così senza pensare si cacci il ferro dentro le viscere; allora, in quel momento che passa tra la ferita e la estinzione, il suo spirito penserà essere stato un atto del suo volere, e godrà nella lusinga di avere la potestà di disfarsi: meditandovi sopra apprendiamo essere cosa necessaria, disperatamente inevitabile, lo sforzo della tua costanza affrettarla di pochi istanti; tutto ti si riduce in bassezza, in miseria, in viltà. Non pensiamo in nome di Dio alla morte, ch'ella ci travaglia di troppo grande sconforto: – diamocela, se fa di mestieri, senza pensarci.


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La battaglia di Benevento
Storia del secolo XIII
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1852 pagine 699

   





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