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      L'oste si pose le mani dietro, e veduta la mala parata si trasse piano piano verso la porta. Nessuno fiatava: per ben dieci minuti ogni cosa fu cheta; alla fine Rogiero prese a mormorare bassamente: "Egli è desso, – l'uomo fatale, – l'istrumento del destino. – L'anima non ha accolto la sua voce col medesimo terrore? Non si è congelato il sangue, i polsi rimasti?" E poi proseguiva con forza maggiore: "Egli è desso!" Appena proferite queste parole, chiuse le pugna, tese le braccia, tutti i muscoli del volto compresse, come se riunisse ogni virtù per non soccombere sotto un dolore, e le ripetè più volte: "Fosse un demonio incarnato, sprofonderemo insieme nel fuoco penace, perchè io me gli avvinghierò alla cintura, nè il lascerò finchè non mi abbia reso ragione del suo fiero perseguitarmi, – del suo ingannarmi. Scellerato! io non l'offendeva mai, mai più lo aveva visto, ed ei mi ha voluto far perdere lo intelletto, – mi ha avvelenato la vita; – ma lo stolto me ne ha lasciata tanta da dargli la morte,.... e se sei tale da soffrirla, ora la soffrirai."
      Dava un calcio alla tavola, e cibo, bevanda, stoviglie, ogni cosa gettava rovesciata sul pavimento: sorgeva; aveva la guardatura terribile, il viso acceso, la persona in atto di offendere. Guai al pellegrino, se lo avesse giunto, che non avrebbe avuto altro bisogno di medico per finire la vita. I due ribaldi che gli s'erano messi allato lo presero per le braccia e pel petto, dicendogli: "Dove, Messere?"
      Con voi non ho nulla.... scostatevi.


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La battaglia di Benevento
Storia del secolo XIII
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1852 pagine 699

   





Rogiero Messere