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      .. a poco a poco però, – non sia trafugato un atomo a quello che devo soffrire; ogni trafitta abbia il suo grido, – non si confondano, – stieno distinte, – ogni puntura il suo spasimo, – muoriamo intera la morte... questo è veramente da uomini!
      Piegava la faccia, e mormorava fiere parole. Dopo assai tempo tentò il luogo di nuovo: questa volta le mani s'incontrarono in qualche oggetto; lo prese, – era un osso di morto, – se lo strinse al petto come uno amico, lo palpò per ogni lato con la gioia della madre che va lisciando i bei capelli del primo frutto di amore; poi la mano gli cadde giù abbandonata, e la bocca consentendo a quell'atto di tristezza susurrava: "Già! – le ossa della vittima saranno sepoltura alle ossa della vittima!" e dopo ritoccando l'osso: "Forse tu fosti più infelice di me, chè l'unica cosa concessa ai mortali senza misura, che possono percorrere senza fine, è l'amarezza... presente degno di lui che lo ha dato, e di noi, che lo dovevamo patire: – forse tu avevi padre, che versò lacrime molte, e non sopra la cenere del suo figlio; forse madre, che andò insana cercandoti di cimiterio in cimiterio per dire una preghiera su la tua fossa, nè la rinvenne...."
      Certo questa meditazione si addentrò più oltre nelle viscere, se non che fu di tanto travaglio, che le labbra non la poterono altramente articolare. All'improvviso percuotendosi la fronte aggiungeva: "Ed io non avrò Yole? – se sopravvive...." Non aveva ancora finito, che la tempesta scoppiò sul castello: egli giunse le mani, e le alzava supplichevole al cielo; poi, quasi stimasse quell'atto mal conveniente, sorgeva per prostrarsi; le sue ginocchia percossero sopra il petto di uno scheletro, e le costole gli si spezzarono sotto con tale scricchiolio, che parve lamento; nè per questo mutò luogo, anzi togliendo occasione dal caso si pose a scongiurare: "O forza che distruggi, intendi una volta il mio voto, – voto di creatura vicina ad esser distrutta, proferito su l'altare della distruzione: l'esperimento dei secoli ti ammaestra, che la terra invecchia di anni, e d'infamia; che più schifoso di figlio in figlio si trasmette il retaggio della colpa; che ormai non v'ha luogo innocente ove il giusto potesse far la preghiera, non pietra che non abbia sostenuto la testa di un trafitto, non zolla che non sia sparsa di sangue invendicato; illumina la luce le stragi manifeste, nascondono le tenebre la perfidia occulta: tutti a nostra posta siamo destinati ad esser traditi, e traditori.


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La battaglia di Benevento
Storia del secolo XIII
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1852 pagine 699

   





Yole