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      Eseguiva Gisfredo i comandi del suo signore, un po', – e qui s'ingannava, – riputando di ricavarne qualche gran premio, un po' per inclinazione: entrava in Corte, e come quegli che era scaltro davvero, adesso mostrandosi carezzevole, adesso contegnoso, qui usando cortesia, là villania, ritirandosi a tempo, e comparendo a tempo, lusingando i più ruvidi tra i Baroni con gl'inchini, guadagnando i servi più astuti con qualche agostaro, pervenne a conoscere in poche ore quello che forse altri non aveva imparato in molti anni. A mal grado del suo ingegno però, quel destino, che il più sovente si oppone alle opere generose, aveva decretato che gli dovessero riuscire fatali le sue triste; quelle che abbiamo fin qui raccontate, vedemmo averle conseguíte con molto pericolo; ora narreremo come avvenisse l'ultima, nella quale perdè la vita.
      Stanca dalle faccende del giorno la famiglia di Manfredi era andata a trovare il sonno, che da molto tempo non iscendeva invocato su le palpebre dei suoi signori. Gisfredo con passi storti e leggieri, con le orecchie attente, per farsi maggior pregio presso il Conte Anselmo, penetrava nelle più riposte stanze reali: – i fati lo portavano; perviene entro un andito lunghissimo, – con la mano alla parete, in punta di piedi, senza trarre un fiato si mette a percorrerlo; – lo percorre, giunge ad una sala, abbandona la scorta del muro, e va oltre: non poteva essere anche a mezzo, quando un gemito represso lo avvertiva, quivi dimorare gente; – stava, – un lamento femminile fece suonare il vasto edifizio.


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La battaglia di Benevento
Storia del secolo XIII
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1852 pagine 699

   





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