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      E che cosa vi fa tanto temere della fede siciliana?
      – domandò arrossendo Giordano d'Angalone.
      La fede è già rotta: perchè sforzare le file? Io vi dico che mi trucideranno, e voi sarete debitore della mia vita in faccia degli uomini e del cielo.
      Tolga Dio tanta infamia! balzate in groppa, che il mio Sauro mi ha salvato da ben altri pericoli che non è questo.
      Rogiero, senza por tempo tra mezzo, di un lancio maraviglioso, tutto armato com'era, inforcò il cavallo; Giordano d'Angalone concitandolo con la voce e con gli sproni, lo spinse di piena foga là dove vide meno gente. A quella tempesta, a quel furioso rovinio, non vi fu uomo che comparisse zoppo: taluno gittandosi da questo lato, tal altro da quello, e molti cadendo, e per la caduta loro, frapponendosi ai passi, molti altri forzando a traboccare, si sbarattarono, lasciando libero il campo, pel quale precipitandosi l'animoso destriere, ben tosto ebbe condotto quelli che lo cavalcavano fuori di ogni pericolo.
      Quando apparve vicina la porta di Benevento, in quei tempi conosciuta col nome del Calore, Rogiero, che per la prestezza con la quale andava il destriero non aveva potuto formare parola, lasciò cadersi da cavallo, ed offerta la mano al Conte Giordano gli tenne il seguente discorso: "Conte, vi ho per salutato; io so pur troppo che le imprese gentili non hanno bisogno di altro guiderdone, e sono premio a sè stesse; tuttavolta sappiate che vi devo la vita, e che mi torna dolce manifestarvi...."
      Che è ciò che dite, signor mio?
      interruppe Giordano; "forse non volete ch'io vi conduca al Re?"


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La battaglia di Benevento
Storia del secolo XIII
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1852 pagine 699

   





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