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      ..."
      E seguitava quasi lacrimoso. Lo interruppe Manfredi con suono assai meno rigido, tuttavolta sempre severo "Ci piace, Conte, la vostra sommissione. Volete rimettere in noi la vostra querela?"
      Non potrei rifiutare, volendo; persuaso che quanto piacerà alla Serenità Vostra disporre di me, sia secondo i termini dell'onore.
      Intanto, deponete la spada nelle nostre mani, costituitevi nelle carceri del nostro palazzo; voi siete prigioniere del Re.
      Il d'Angalone, deposta la spada, salutando, partiva. Manfredi, inchinando a bene sperare per l'arrendevolezza del Conte, mandò incontanente per l'Amira, volendo che non passasse quel giorno senza che si fossero composti in pace. Da quell'uomo avveduto ch'egli era, considerando come gli Orientali si lascino sopra gli altri prendere dalle apparenze, chiamò i primarii ufficiali di sua casa, ingombrò di carte le tavole, pose nella prima camera messi, e corrieri; in somma ostentò un gravissimo apparato di faccende del Regno.
      Appena l'Amira, senza che lo precedesse l'annunzio, essendo così comandato, ebbe posto il piè nella stanza reale, che Manfredi, licenziati gli ufficiali, gli si fece vicino, favellando in atto cortese: "Ben venga il benedetto nel Signore, Baba Jussuff, inclita stirpe dei Ben-izeyen; – l'aspetto del servo fedele torna gradito al suo Re quanto il profumo della mirra, quanto la pioggia feconda nel mese dei germogli; vieni, siedimi allato, qui alla sinistra: il Re che ode a destra il consiglio dell'Arcangiolo, a sinistra quello dell'amico, e vede, come un segno innanzi alla fronte, il timore di Dio, quel Re cammina nelle vie diritte, nelle vie di coloro ch'egli ha colmato di grazie96; i suoi passi volgono alla contentezza, benedizione sarà nella sua casa dai padri nei figli, e nei figli dei figli"


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La battaglia di Benevento
Storia del secolo XIII
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1852 pagine 699

   





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