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      Dopo alcuni momenti di zuffa bestiale, in che combatterono perfino co' morsi, smarrita la lena, lanciarono quelle armi, che erano loro rimaste, per aria, e chiesero quartiere: se giungesse amara la vista a quelli che stavano fuori della saracinesca, sel pensi chi legge; vi fu un Barone che giunse a tanto acciecamento, che internò la mano armata di scure nelle fessure, pensando di poter ferire nella zuffa che si combatteva a venti e più passi di distanza da lui; un fendente calato da Giordano Lancia, che gli recise il braccio alla giuntura del gomito, gl'insegnò a non introdurlo mai più nelle fessure delle saracinesche, e la Cronaca ricorda che ne facesse senno pel séguito. Adesso si avveravano i timori del Conte di Provenza; – pensava a ritirarsi; – per valore era perduta la impresa, – rimaneva la fortuna.
      Calava la sera. Manfredi, ricevuti prigionieri i fratelli Vandamme, Stoldo con sei dei cinquanta che si avventurarono al rischio, voleva ordinare che si alzasse la saracinesca per fare impeto contro il nemico, e ributtarlo lontano dalle mura: all'improvviso ode alle spalle un correre imperversato di gente, un gridare incessante: – "Il nemico! – il nemico!" – volge la faccia, e mira sventolare sul torrione della porta del Rapido una bandiera che non gli sembra la sua; aguzza lo sguardo, si frega gli occhi, rimira, e: "Se Dio ci aiuti," domanda al Conte Calvagno, che gli stava da presso, "cotesta non mi pare la nostra bandiera: guardate un po' voi, Conte, che l'aria è fosca, e noi non iscorgiamo bene.


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La battaglia di Benevento
Storia del secolo XIII
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1852 pagine 699

   





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