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      – Procedeva in silenzio; avrebbe potuto mostrarsi lieto, narrare eziandio la dilettosa leggenda, chè su quanti uomini vivevano al mondo egli era valente a dissimulare; – simile in questo alla terra del suo Regno, che innamora il risguardante co' tesori della creazione, mentre il vulcano le prepara rovina dentro le viscere; – nondimeno conoscendo che a nulla poteva giovargli l'ostentarsi lieto, e che quando anche gli fosse giovato, nessuno gli avrebbe creduto, si lasciava in balía delle proprie afflizioni. I seguitanti, persuasi che se rimaneva via di salute, Manfredi l'avrebbe veduta prima di loro, che la sventura non lo prostrava, ed egli era uomo da fare tutto da sè, procedevano pur essi in silenzio. Senza posarsi un momento giunsero a San Pietro in Fine, terra otto miglia distante da San Germano; – volevano quivi fermarsi, non parve sicuro il luogo; convennero proseguire la corsa; – i cavalli sebbene stanchi giustificavano la fiducia che i cavalieri avevano riposto nella loro bontà.
      Soffri?
      interrogava Manfredi la nobile Elena, la quale, intirizzita dal vento ghiacciato, dolorosa pel lungo dimorare in una stessa positura, e per la malattia di languore che da tempo remoto la travagliava, aveva disciolto un gemito sommesso.
      Io? – Pensa a salvarti, pensa a salvare i miei figli.
      Tu soffri.
      – insiste Manfredi.
      Oh non badarvi! – Forse chi sa che questi miei patimenti non sieno accettati in parte di espiazione!
      No, no: il bianco è bianco, nè il loglio muta natura al buon grano; ogni anima pensi per sè: nella valle di Giosafat ciaschedun vivente risponderà per i proprii peccati.


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La battaglia di Benevento
Storia del secolo XIII
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1852 pagine 699

   





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