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      E così tutti: solo Manfredi, che giaceva traverso alla estremità dei mantelli dove posavano i suoi, con la faccia rivolta alla fiamma, stava, sorreggendosi il capo, a considerare la vicenda di un arbusto infuocato: apparve da prima scintillante di una bella luce dorata; a poco a poco, scarseggiando, l'umore, rossastra; quindi, vie più crescendo il difetto, di un colore tra azzurro e verde; – allo improvviso ricomparve dorata, perchè tutte le cose vicine ad estinguersi prorompono in un baleno di vita, – e si spense; allora prese a sollevarsi un fumo denso da prima, poi meno cupo, – cenerino, – di bianco pallido; – finalmente anch'egli si tacque; – un tristo pugno di cenere era avanzato dall'oggetto lucido, diletto degli occhi: perchè così attento considerava Manfredi un caso che inosservato passa le cento volte nella nostra vita? Oh! arguto osservatore è il disastro, e la cagione egli la susurrò con queste parole: "È finito; – anche la rinomanza è fumo; l'eternità e l'oblio ingoiano le virtù, e i misfatti: ma almeno del tizzo rimase la cenere; di noi che rimane?" – E il sonno gli si aggravò su le palpebre. Sul principio ora le chiudeva, ora si sforzava di riaprirle, quasi volesse contendere alla potenza del sonno: – ma chi valente contro di lui? Manfredi giacque, come uomo spento ai sensi, o chiamato a sensi diversi. Benefico giunge il conforto del sonno alle membra stanche, dono prezioso agli umani travagli, balsamo alle ferite dell'anima; ma non valeva meglio che nè la stanchezza, nè i travagli, nè le ferite, opprimessero la nostra schiatta infelice?


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La battaglia di Benevento
Storia del secolo XIII
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1852 pagine 699

   





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