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      Si apparecchiavano i Provenzali all'assalto, quando l'Arcivescovo di Cosenza, parato degli abiti pontificali, si condusse sotto le mura, ed intimò i cittadini ad aprire; se resistessero, mal per loro; aspettassero, e tra breve, condegno castigo in questa vita, e nell'altra. Talese venne in potere di Carlo al modo stesso che Gerico in mano dei Giudei, se non che in Talese non caddero le mura. Carlo non prese altra vendetta di quell'ombra di resistenza che di poco onorarla del suo aspetto; andò oltre, e diresse il suo cammino a Santa Agata dei Goti: non già ch'ei sperasse averla come l'ebbe, ma perchè, se la battaglia doveva definirsi nella pianura di Benevento, bisognava che se ne assicurasse, come quella che troppo da presso minacciava alle spalle. Il destino gli concedeva più del desiderio; e sì che di propria natura il desiderio suole essere intemperante. Lontano due miglia da Santa Agata occorse in una solenne ambasceria, che gli consegnava le chiavi della terra, e con umili preghiere gliela raccomandava. Rispose, l'avrebbe come figliuola. Tanto inaspettata prosperità commoveva così il cuore di Carlo, comecchè di salda tempera, che a mala pena facesse distinguergli quali parole adoprasse: entrò giubbilante in Santa Agata, e fu visto, mentre passava la porta, curvarsi dall'arcione, e baciarne lo stipite. Romani e Francesi, in quel più tosto viaggio che conquisto dicevano apparire chiara la mano della Provvidenza; Carlo stesso cominciava a persuadersene: quell'essere destinato pare a tutti un bel che, e seduce le menti più forti.


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La battaglia di Benevento
Storia del secolo XIII
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1852 pagine 699

   





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