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      Poi si fissò attento a considerare la masnada dei Guelfi, e parendogli, com'era, troppo bella, domandava, che gente fosse: gli rispondevano: – i fuorusciti di Firenze. – "Or dove" è fama che soggiungesse "abbiamo l'aiuto di parte ghibellina, che noi con tante fatiche e tanto tesoro favorimmo in Italia?" – E più sempre innamorandosi nella vista della masnada, che avanzava con ammirabile compostezza: "Veramente quella gente non può oggi perdere!" volendo significare, che qualora avesse egli vinto l'avrebbe tolta al suo soldo, e messa in istato.
      A cavallo vituperati! a cavallo! ecco il nemico!
      – gridarono Ghino e Giordano; ma i Provenzali galoppando di tutta carriera già soprastavano: i Tedeschi e gl'Italiani, lasciando, quantunque a malincuore, la preda, assorsero per combatterli; i cavalli pascendo si erano allontanati, e nell'improvviso scompiglio molti li perderono, però che aombrando fuggirono; nessuno ebbe il suo. Non anche avevano formato gli squadroni, che i Francesi vi dettero dentro di furiosissimo impeto, e gli respinsero forse quaranta passi; allora i Tedeschi ristettero; lo spazio che li divideva appariva ingombro di cadaveri: i Francesi vacillavano aborrendo di calpestare i corpi dei fratelli. Carlo avvisando che da quella incertezza potevano i nemici prendere tempo a rannodarsi, e forse nascere la perdita della impresa, esclama: "Su, cavalieri, non badate a calpestarli, sì bene a vendicarli: quei vostri morti sono lieti di offrirci sui loro petti la via alla vittoria; Mongioia!


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La battaglia di Benevento
Storia del secolo XIII
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1852 pagine 699

   





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