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      – Ciò detto, gli spinse sopra il cavallo, che meno tristo del suo signore sdegnò calpestarlo. – Stolto! e non sapeva che i cieli gli destinavano morte mille volte più miserabile. È da credersi che la Provvidenza la quale fece morire Simone Monforte suo bisavo di un sasso nel capo all'assedio di Tolosa, Almerico suo avo di una saetta nel ventre sotto Tolemaide, e Simone suo padre di onorate ferite sostenendo la libertà degl'Inglesi contro il Re Enrico, contendesse a Guido in pena della sua barbarie la gloria di cadere sul campo, oggimai ereditaria nella sua famiglia; preso nella battaglia navale combattuta tra Siciliani e Napolitani avanti il Golfo di Napoli nel 1287, conchiuse nello squallore del carcere una vita, che aveva illustrata di bei fatti d'arme, e contaminata di feroci misfatti.
      Il Conte Giordano d'Angalone mirò quella morte; la mirò, e una tenebra gli si diffuse su l'anima; nondimeno, risoluto di non tornare in sembianza di vinto là d'onde si era dipartito come vincitore, trovandosi presso la masnada dei Guelfi vi si lanciò in mezzo, desideroso della bella morte. Trapassando imperversato molti percuote, molti stramazza, tanto che giunge allo stendale che in quella giornata portò Corrado da Montemagno di Pistoia; lo afferra con la manca, con la destra mena la spada; Corrado a sua posta tiene stretto, e si difende: i Paladini, che così, come abbiamo avvertito nel Capitolo decimosesto, si chiamarono i dodici Guelfi che condussero a morte Tacha da Modena, circondano il d'Angalone, e lo trafiggono di mortalissime punte; non vi bada il prode uomo, e segue la sua battaglia col bandieraio, il quale, soverchiato da troppo maggior forza, ferito in più parti, lascia cadersi di sella; al punto stesso trabocca il d'Angalone, spirando l'anima sul giglio di Firenze.


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La battaglia di Benevento
Storia del secolo XIII
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1852 pagine 699

   





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