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      Qui ha fine la Cronaca nostra; se non che correndo tra i Novellieri la usanza di accompagnare i propri eroi all'altare, o al sepolcro, egli è mestieri che non potendo io avviarli al primo, gli segua al secondo. E primamente favellando di Carlo d'Angiò Conte di Provenza, trovo nelle Storie, come dopo la giornata di Benevento senz'altro contrasto il Regno di qua dal Faro occupasse, nè con minore fortuna l'isola di Sicilia vincesse: in qual modo ei reggeva, perchè la sua potenza nell'universa Italia a declinare cominciava, come finiva, già non racconterò io, che forse potrebbe prestare soggetto a cui volesse continuare la storia fino alla celebre rivoluzione dei Vespri Siciliani; solo volgarizzando con la fedeltà che posso maggiore uno squarcio di Niccolò Jamsilla cronista vivente in quei tempi, mostrerò ai lettori quanto stoltamente si affidassero i Baroni del Regno nella fede francese: soffrirono insolite gravezze, sotto lo incomportabile peso della tirannide straniera curvarono, ebbero lo scherno per giunta; osservino gl'Italiani lo esempio, e facciano senno, se possono. "O Re Manfredi!" esclama lo Jamsilla "in fondo di tutta speranza, adesso quale tu fosti conosciamo, e dolorosi deploriamo. Te, lusingati dalla speranza del presente dominio, lupo rapace tra i quieti agnelli reputammo; e mentre larghezza di premii in guiderdone della slealtà nostra ansiosi attendevamo, te, troppo tardi, mansueto agnello conoscemmo. Ora che con l'asprezza del nuovo impero lo paragoniamo, la soavità del tuo ci è manifesta.


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La battaglia di Benevento
Storia del secolo XIII
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1852 pagine 699

   





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