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      Carlo angioino serbava la promessa a Manfredino svevo nel modo stesso che Enrico svevo la serbava a Guglielmo normanno: così in quei tempi remoti si assomigliavano i Re nella fede! – Elena, Yole, Manfredino, e il Procida, rinchiusi nel Castello dell'Uovo con nuovo esempio attentarono, non doversi i vinti affidare che alla fossa; potè non pertanto il Procida ingannare le guardie, e calarsi dalla torre e fuggire: assunta per cagione di vita la vendetta di Manfredi, così si adoperò in Arragona presso Re Pietro, così in Costantinopoli presso l'Imperatore Paleologo; tanto commosse i suoi compatriotti, cui egli con incredibile ardire andò a trovare in Sicilia; tanto Papa Niccolò degli Orsini, nella Corte del quale si conduceva vestito da Frate, che dopo tre anni di viaggi continui, d'impedimenti, e di pericoli, ribellò la Sicilia al Re Carlo, vi restituì Gostanza figlia di Manfredi, e, tranne un solo, spense quanti Francesi dimoravano nell'isola: – maravigliosa storia, che, dove di alcuno sguardo benigno mi fosse cortese la fortuna, non ischiverei fatica per aggiungere a questa. – Elena, e i figli, non comparvero mai più alla luce; quanto vivessero, come morissero, è un mistero di delitto. Corso un tempo il racconto come nella notte d'Ognissanti, dopo che la campana aveva suonata a mattutino, s'intendesse un grido nella torre occidentale del Castello dell'Uovo, e di lì a poco un'anima scettrata, radendo velocissima per li spaldi senza mutare i passi, si dirigesse alla cappella; non osavano le scolte aspettarla ferme al loro posto, fuggivano tutte a quell'ora a ricovrarsi entro i quartieri: una volta certo soldato guascone, incitato dai compagni e dal vino, osò tener dietro all'anima, ed entrare nella cappella con lei; alla mattina fu trovato steso senza sentimento sul terreno: e richiamato alla vita narrava, come l'anima scettrata genuflessa innanzi l'altare aveva percosso una lapida, e dall'avello scoperchiato erano assorte due altre anime, una di fanciulla, l'altra di garzone, le quali, gittandosi al collo della prima, l'avevano abbracciata, come si suol fare tra cari parenti ed amici; che poi si erano messe a pregare fervorosamente innanzi la immagine di Nostra Donna: la immagine supplicata, volgendosi al figliuoletto che teneva in braccio, gli aveva favellato: – Compiaci, dolcissimo figlio, alle dolorose; – al che nulla rispondendo il figliuolo, la Vergine levatasi in piedi lo poneva sopra l'altare, e gittandosegli davanti a misericordia lo scongiurava di nuovo: – Compiaci, dolcissimo figlio,


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La battaglia di Benevento
Storia del secolo XIII
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1852 pagine 699

   





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