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      Qui dentro riposa un uomo, che ebbe la fortuna nemica fino dall'ora che gli versarono sul capo l'acqua del battesimo; tutta la sua vita fu una lunga lotta con lei: ma le lotte con la fortuna assomigliano a quella di Giacobbe con l'Angiolo. Superato, non vinto, amò, soffrì e si travagliò del continuo pel decoro della Patria. Non provò amici popoli, nè principi; - -lo saettarono tutti. Dall'alto e dal basso gli lanciarono strali crudeli. Parte di vita gli logorarono le carceri, parte l'esilio. Prigioniero meditò e scrisse; libero si affaticò per la salvezza comune, e principalmente per quella de' suoi nemici od emuli. Invano la ingratitudine tentò riempirgli l'anima d'odio. Le acque dello affanno lasciavano ogni amarezza nel passargli sul cuore. Offeso gli piacque la potenza, e la ebbe per dimostrare col fatto, che tenne la vendetta passione di menti plebee; nè perdonava soltanto, ma (più ardua cosa assai) egli obliò(1). La spada della legge, confidata nelle sue mani, non convertì in pugnale di assassino. Quando altro non potè fare, col proprio seno tutelò la vita di uomini che sapeva essergli stati, e che avrebbero durato ad essergli nemici. Il popolo un giorno lo ruppe come un giuoco da fanciullo; i potenti lo gittarono alle moltitudini insanite come uno schiavo nel circo delle fiere. Consumato nelle viscere, egli cadde sopra un mucchio di rovine e di speranze; e non pertanto, morendo, lasciava alle genti il desiderio di costumi migliori, e di tempi meno infelici. Le sue dita, con ultimo moto, segnarono per testamento sopra questa terra desolata le parole: virtù, libertà.


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Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa
1854 pagine 814

   





Giacobbe Angiolo Patria