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      Corre fama eziandio, che lo rinvenissero cadavere nel letto di Teodora; e la superstizione immaginò lo avesse strangolato il diavolo, in pena dei suoi delitti. Morte obbrobriosa a vita di vituperio!
      Francesco Cènci possedè copiosissimi beni di fortuna, chè la sua entrata si stimò meglio di centomila scudi; la quale per quei tempi era infinito, ed anche ai nostri sarebbe non ordinario tesoro. Glielo lasciava il padre, che, tenendo il camarlingato della Chiesa sotto Pio V, mentre questi vigilava a rinettare il mondo dalle eresie, il vecchio Cènci attendeva a rinettargli dagli scudi l'erario: egregi entrambi nel diverso mestiere. Intorno al conte Francesco, male sapevasi che cosa si avesse a pensare: forse sopra alcun uomo mai corse così diverso il grido come sopra di lui. Chi lo predicava pio, liberale, mansueto e cortese: altri, all'opposto, lo dicevano avaro, villano e crudele. Fatto sta, che in conferma così dell'una come dell'altra fama potevansi addurre riscontri. Aveva sostenuto parecchi processi, ma n'era uscito sempre assoluto ex capite innocentiæ: molti però non si acquietavano punto a siffatti giudicati, e andavano sussurrando dintorno, che fino allora non avevano veduto mai la Ruota Romana condannare uomini ricchi per centomila scudi di rendita. Ma se la vita sua compariva al pubblico misteriosa, troppo palesemente ebbe a provarla senza fine spietata la sua misera famiglia, la quale per pudore, e molto più per paura, non ardiva profferire parola. La sua famiglia troppo bene sapeva com'egli si compiacesse immaginare trovati terribili, e quanto più paurosi, ed alla opinione dello universale contrarii, tanto a lui maggiormente graditi; e appena immaginati dovevano mandarsi ad esecuzione, e ad ogni costo; avesse a spendersi un tesoro, o commettere incendio, od omicidii.


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Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa
1854 pagine 814

   





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