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      E più non potè dire.
      Un uccello in questo momento venne a riposare le stanche ale sopra il parapetto della terrazza: volgeva il capo in qua e in là, come sospettoso d'incontrare molestia; ma presto assicurato, si pose a saltellare - a beccare; finalmente parve fissasse il fanciullo; poi sciolse un dolcissimo canto, aperse le penne, e fuggi via.
      - Oh, esclamava Virgilio, potess'io seguitarlo! Forse, chi sa!, egli conosce suo padre, e sua madre dall'aperta frasca tende lo sguardo ansiosa del suo ritorno. O madre mia! Beatrice, dimmi, dov'è nostra madre adesso?...
      - Nostra madre? - È lassù in paradiso.
      - Lo so, la sua anima alberga nella patria dei giusti; ma io vorrei conoscere in qual parte riposino le sue ossa. Sapresti tu indicarmelo, Beatrice? Il Conte Cènci non volle permettere mai, che mi conducessero a visitare il sepolcro di nostra madre...
      Beatrice, studiando deviare il doloroso colloquio in obbietti alquanto meno tristi, si levò pronta per appagare il desiderio del fanciullo; e, postolo a sedere sul parapetto della terrazza, si prostese fuori col busto.
      Il pianeta del giorno stava per tramontare, e mandava i mesti raggi dello addio a questa terra, che, sebbene infelice, gli è sì cara. Ogni digradare della luce presentava una nuova maraviglia: colori soavemente più languidi, come lo spirare dei suoni per la superficie delle acque. Le vette dei campanili, le cime dei monti, le nuvole lontane pareva si affaticassero a ritenere un palpito di raggio, in quella guisa stessa che i cari parenti, da balcone da loggia o da colle, sventolano al pellegrino che si allontana un panno bianco, finchè la sua forma non si confonda con la bruma della sera.


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Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa
1854 pagine 814

   





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