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      - Come! Domani notte, - tu lo hai detto.
      - E se voi non veniste più per me?
      - E qual profitto avrei dalla tua morte? Dove troverei un altro Olimpio per servirmi di coppa e di coltello?
      - Ma se non veniste?
      - Tu urleresti. Le cantine sono presso la strada, e i passeggieri ti udrebbero.
      - Bel guadagno! Dalla cantina Cènci sarei traslocato nelle carceri di Corte Savella.
      - Avverti, che io me ne andrei in castello per avere dato ricetto a un patriarca come se' tu.
      - In questo, che dite, trovo qualche cosa di vero: per ogni buon riguardo lasciatemi la porta aperta.
      Ed entrò; ma la porta girò sopra gli arpioni, e si chiuse a mandata.
      - Don Francesco, come va che la porta si è chiusa?
      - Vi ho inciampato non volendo.
      - Portatemi presto il lume, e apritemi la porta.
      - Ora vado per la chiave, e ritorno.
      - E badate a non dimenticarvi del lume.
      - Lume! Oh per lume non te ne mancherà, se non falla il detto: et lux perpetua luceat eis; - cantarellava il Cènci in suono di requiem allontanandosi con passi frettolosi.
      - Pare impossibile! - aggiungeva poi tornato nella sua camera; - e costoro si vantano di sottile ingegno! Qual volpe mai non pose industria maggiore a fuggire la tagliola, di questo bandito? - Ora aspettami, Olimpio; tu puoi aspettarmi un pezzo; perchè se non viene voglia all'Angiolo di aprirti nel giorno del giudizio, io non verrò di certo. Tu imiterai nella morte lo epicureo romano Pomponio Attico, lo elegante amico di Cicerone. Pare che nel morire di fame si nasconda una certa voluttà; imperciocchè costui, sentendosi sollevato dalla dieta, volle continuare il digiuno fino alla morte; non gli parendo bene, poichè tanto cammino aveva percorso per andarsene fuori di questo mondo, rifare i passi per tornare indietro.


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Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa
1854 pagine 814

   





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