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      Da questo esame ne scendono due conseguenze, la prima delle quali ha che fare col mio racconto, la seconda no. E la prima è, che l'uomo possiede le facoltà principali perfettamente pari a quelle dello avvoltoio; divora per vivere: alcuni hanno sostenuto ch'egli vive per divorare, ma non è del tutto vero. L'altra poi, che ci vuole più coraggio a non mangiare che a morire, è maggiore violenza alla natura. Giacomo da più giorni non gustava alcuno alimento, e lo istinto della vita così taceva in lui, che lo aveva preso irresistibile il desiderio della morte.
      Quando ciò avviene, occhio di donna non guardò mai così dolce come il foro del teschio, nè labbra di ranuncolo sorrisero così voluttuose come le scarne mascelle. Quelli, nei quali dura lo istinto della vita, reputano acerbo il fato di coloro che si dettero la morte; mentre se questi potessero continuare ad appassionarsi per cosa terrena, sentirebbero immensa pietà per coloro che sono vivi. Rovesciato l'appetito delle cose, tutto quanto piace a cui vive rincresce ai consacrati alla morte: tutti i motivi che i primi trovano per restare, i secondi li trovano per partire: niente è mutato nell'ordine delle funzioni organiche; soltanto l'ago della bussola ha mutato polo: il sentimento si affaccenda a mandar fuori della esistenza desiderii ed affetti, come chi muta casa sgombra le sue masserizie; e quando il letto è in casa nuova, e il riposo delle lunghe tribolazioni nella fossa, noi ci andiamo con voluttuoso conforto a dormire.
      Giacomo Cènci, quietato il primo impeto che gli fece abbandonare con tanta passione la famiglia, prese a camminare lento perchè egli fosse venuto nel proponimento di distruggersi non mica per impeto, sibbene per discorso d'intelletto, e quasi sommando le ragioni del vivere e del morire.


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Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa
1854 pagine 814

   





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