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      Ai fini della natura basta che nulla giaccia infecondo, o si disperda sterilmente; poi, che aumentino mille avvoltoi, e diminuiscano dieci mila colombe poco le importa. Immensa macina che infrange reami ed acini, imperatori e lumbrichi per crearne nuovamente lupi, o pecore, od altri animali. La dottrina della trasmigrazione insegnata a Pittagora dai Sapienti di Egitto, una volta presa a scherno da insensati filosofi, è cosa tanto evidente, che sembra impossibile come possa essere stata impugnata. Difficile è spiegare quello che non si comprende, e non si può intendere; follìa disprezzare, o negare ciò che supera la nostra intelligenza; ma che il Supremo Fattore abbia a tenere conto, non che della specie, dello individuo, non sembra che possa dirittamente credersi. La natura recasi in mano l'universo, e lo soppesa; se torna il volume non le importa la forma.
      E poichè gli uomini sortirono questa vita e questa forma senza chiederle, e molti ancora senza desiderarle, perchè le non si possono rassegnare senza offesa della natura? Singolari ella fece le vie del nascimento, infinite quelle della morte; sicchè può ritenersi, che a lei piaccia la vertigine delle trasformazioni. Se gli orecchi nostri potessero udire la voce della natura, noi sentiremmo ch'ella predica sempre ai mortali: =Ospite, io non ti trattengo a forza alla mensa della vita; tra le bevande, che io ti appresto davanti, scegli quella che meglio ti talenta; e se ti piace l'oblìo, bevilo, e vattene=.
      Veramente, come se l'uomo non fosse presuntuoso abbastanza, gli hanno dato ad intendere, e la sua superbia glielo ha di leggieri persuaso, sentinella infedele non poter disertare il posto al quale la Provvidenza lo commise; lui essere re dell'universo; la favola di Atlante adombrare il simbolo dell'uomo chiamato a sostenere il mondo sopra le sue spalle.


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Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa
1854 pagine 814

   





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